Long-Term Care FIVE – intervista a Cyrille Ferrachat, Amministratore Delegato Medicasa Italia e VitalAire Italia (Gruppo Air Liquide)

Nell’edizione di quest’anno di Long-Term Care, secondo Italia Longeva, sarebbero due, le direttrici lungo le quali procedere: da un lato la riorganizzazione e il potenziamento dell’offerta dei servizi territoriali, a partire dalle cure domiciliari, dall’altro l’utilizzo di strumenti di valutazione standardizzati per riconoscere, misurare e trattare la fragilità. Si trova d’accordo?

La riorganizzazione e il potenziamento del territorio e delle cure domiciliari sono tornati una priorità dopo l’inizio della pandemia, quando la sola risposta ospedaliera alla crisi ha rivelato la sua
inadeguatezza. Tale necessità era ben nota tra chi frequenta gli eventi di Italia Longeva da anni, ma le risposte istituzionali arrivavano con estrema lentezza: penso ai requisiti di accreditamento
dell’ADI, ancora una buona intenzione, che permetterebbero a questo setting assistenziale di essere equiparato ad una prestazione sanitaria, oppure all’attuazione del piano nazionale della cronicità, esso stesso in cronico ritardo. Oggi, al contrario, si assiste ad una corsa rapidissima ad istituire nuove figure, riformare la sanità di territorio, investire ed assumere, magari stanziando più risorse di quelle che si è in grado di impiegare o di istituire figure senza chiarire a priori compiti e ruoli: penso agli infermieri di famiglia e comunità, alle USCA, agli assistenti sociali o al personale da assumere per l’ADI in Regioni che realizzano questo servizio attraverso l’esternalizzazione o l’accreditamento. Sulla valutazione standardizzata, credo si debba lavorare molto e da subito. Siamo abituati a Regioni che valutano, rendicontano e operano con criteri disomogenei, spesso senza sapere esattamente a che categorie di popolazione si rivolgono. L’inserimento di valori come la scala di fragilità, accanto all’età, permetterebbe almeno di indirizzare gli interventi e le risorse in modo più consapevole. Mi lasci dire, però, che oggi sarebbe necessario che anche il territorio fosse digitalizzato e interconnesso: molte ASL lavorano esclusivamente sulla carta, riceviamo ordini e piani di assistenza via fax o, a volte, tramite fattorino: un fascicolo socio sanitario elettronico è il requisito di base per uno sviluppo organico e standardizzato del settore.

Alla luce del nuovo scenario sanitario e sociale che la pandemia da Coronavirus sta configurando, quali sono le maggiori criticità nell’ambito delle cure domiciliari dal punto di vista di operatore privato operante del settore delle cure domiciliari, e le possibili soluzioni che intravede?

Il domicilio è risultato, anche a causa di questa pandemia, il luogo di elezione per la presa in carico e la cura di molte fragilità, cronicità, non autosufficienze. Le terapie domiciliari, oggi identificate tutte con l’ADI, dovrebbero iniziare a diversificarsi sia allargando la platea di pazienti, sia individuando percorsi personalizzati per coorti di pazienti o per patologia. Inoltre sarebbe auspicabile integrare le prestazioni tipicamente assistenziali dell’ADI con terapie tecnologiche o farmacologiche fatte a domicilio, per massimizzare l’efficacia e minimizzare il disagio per il paziente. Nel nostro settore si stanno rivelando particolarmente fruttuose l’esperienza di integrazione di prestazioni di assistenza domiciliare con terapie respiratorie, come ventiloterapia o ossigenoterapia, soprattutto in pazienti complessi. Mi pare che un grosso sforzo vada fatto sulla disponibilità di operatori, in particolare infermieri, per il territorio e per il domicilio. Ad oggi vi è una fortissima carenza di personale, i percorsi formativi non vi fanno fronte, e una scarsa propensione a formare infermieri “di territorio”, quasi che l’unica destinazione possibile per questa professione debba essere l’ospedale. Va inoltre considerata anche l’esigenza immediata di infermieri e operatori socio sanitari sul territorio: da questo punto di vista mi parrebbe utile far venire meno la clausola di esclusiva degli infermieri del servizio sanitario pubblico, rendendo possibile una sorta di “attività professionale extramoenia infermieristico. Sarebbe una modalità immediata di valorizzazione dei professionisti sanitari e una possibilità concreta per loro di lavorare anche sul territorio.

Quali sarebbero i “key takeaways” della due giorni di quest’anno?

Ho trovato particolarmente stimolante il dibattito sulla valutazione e misurazione degli esiti di salute nell’assistenza domiciliare. E’ un settore che viene misurato in modo prevalentemente quantitativo: percentuale di over 65 con ADI, numero di accessi al mese, ecc. Andrebbero giustamente introdotte misurazioni qualitative, che riguardano il valore generato per il paziente nell’intero percorso di cura, o in un periodo definito. In una logica di presa in carico operativa, di erogazione di terapia e assistenza, gli operatori potrebbero essere responsabilizzati a garantire esiti, invece che accessi. Il secondo aspetto è che è necessario un quadro normativo nazionale più forte. L’ADI è una prestazione sanitaria, che non gode di riconoscimento istituzionale, di valutazione qualitativa, di accreditamento al pari delle attività svolte in struttura. E’ una modifica culturale, che il Ministero ha in animo, e che ci auguriamo si traduca presto in atti normativi.