Long-Term Care FIVE – intervista a Claudio Petronio, Direttore Centrale, Vivisol Italia, Sud Europa e Brasile

Il Sistema Sanitario Nazionale è stato messo a dura prova dall’emergenza Covid. Tante le fragilità e le criticità del sistema emerse con la pandemia, prima fra tutte la mancanza di un’adeguata organizzazione della rete di assistenza territoriale e domiciliare. Da dove ripartire per il potenziamento del territorio e qual è il ruolo dell’ADI nel suo complesso?

Oggi più che mai una strategia di potenziamento del territorio e dell’assistenza domiciliare è largamente condivisa da tutti gli attori istituzionali; che il tema sia una delle priorità dell’agenda politica non vuol dire, però, che sia chiaro anche il COME rendere il sistema delle cure domiciliari davvero rispondente ai bisogni di salute e assistenza sempre più complessi. Troppo spesso infatti l'”assistenza domiciliare” viene fatta coincidere con la sola ADI, quando invece andrebbe considerato un approccio più integrato.

 

Oggi, infatti, a domicilio del paziente vengono erogate sia prestazioni sanitarie (mediche, infermieristiche e riabilitative), sia terapie tecnologiche life support, spesso ad alta complessità assistenziale, che richiedono competenze specifiche tecniche e cliniche per una corretta gestione e aderenza terapeutica. In un contesto delicato come quello domiciliare, per natura non deputato all’assistenza sanitaria, è urgente superare oggi quella frammentazione delle prestazioni (che moltiplica i “fornitori” che concorrono alle cure del paziente) e quell’approccio più prettamente prestazionale che caratterizza oggi l’offerta domiciliare.

 

Qual è la “ricetta” per strutturare un setting assistenziale che tenga conto dei bisogni e delle necessità dei pazienti con cronicità in tutta la loro complessità?

 

L’ambito domiciliare rappresenta forse l’unico setting assistenziale “de-strutturato”, ossia per il quale non esiste una struttura fisica in cui il paziente è accolto e dove sono erogate le prestazioni.

Per questo, è necessario avviare un percorso di riconoscimento formale tramite accreditamento istituzionale degli Homecare Provider, ossia di quei soggetti che erogano prestazioni sanitarie, tecnologiche e digitali nell’ambito dell’assistenza domiciliare. Tale modello porterebbe ad avere un unico provider domiciliare per ciascun paziente per la gestione dei bisogni terapeutici e assistenziali che giocherebbe un ruolo di “SYSTEM INTEGRATOR” tra il domicilio e tutti gli altri setting della rete territoriale.

 

In questo senso, quali sono le esperienze virtuose già messe in campo?   

 

Per esemplificare la capacità dell’intero settore Homecare, parto da quello che definisco il “Modello Vivisol”, ossia cosa stiamo già facendo per costruire un percorso di presa di presa in carico domiciliare del paziente cronico e fragile. Abbiamo avviato una Centrale Medica che fa da regia sia agli accessi sanitari sia alla gestione dei dati clinici rilevati dai device in uso al paziente. L’Homecare Provider può rappresentare per il Sistema Sanitario Nazionale uno strumento per gestire il domicilio come un’estensione del perimetro ospedaliero o territoriale (gestito dai Medici di Medicina Generale), per realizzare una vera continuità di cura tra ospedale-territorio-domicilio, garantendo una presa in carico unitaria delle prestazioni domiciliari attraverso l’integrazione tra la componente tecnologica, sanitaria e digitale che genera ricadute positive per i pazienti e i caregiver, ma anche per i MMG e gli specialisti ospedalieri.   Questa trasformazione è già in atto, ma è ancora troppo timida la spinta del sistema a riconoscere e valorizzare attori come gli Homecare Provider nel processo di integrazione e presa in carico a domicilio.

Non mancano però alcuni passi avanti in questa direzione: a titolo esemplificativo riporto due best practice significative di due modelli regionali che in diverso modo hanno interpretato significativamente questa nuova direttrice:

  • la prima è la Regione Toscana, che questa integrazione l’ha fatta propria. Cito da un documento di ESTAR: “la gestione integrata della nutrizione enterale, ossigenoterapia e ventiloterapia risulta il livello migliore di aggregazione” affinchè gli utenti e il personale sanitario possano avere un unico interlocutore, i pazienti più complessi (uno SLA per esempio) possano non essere penalizzati dalla frammentazione dei servizi e che si favorisca l’omogeneità dei trattamenti e l’uniformità dei dati generati dal paziente.
  • Il secondo esempio, molto recente, riguarda la Regione Lombardia che ha definito un protocollo per la gestione domiciliare dei pazienti Covid con un approccio integrato, in cui l’ossigenoterapia erogata da un Homecare Provider può essere efficacemente affiancata anche dal telemonitoraggio e accessi sanitari propri della misura ADI COVID. (Tale modello è stato ripreso anche da AIFA come best practice e promosso anche in altre regioni).